martedì 21 luglio 2009

INRI

E rieccoci.
Un paio di giorni fa ho letto un pezzo volante, poche righe, scritte su un quarto di A4 alla fine del 2005. In coda c'era la mia firma. In corpo, la difficoltà di campare con queste regole.

I tempi stretti della consegna di lavori e prodotti, di prestazioni, di aspettative esaudite, oggi come allora, sembrano suonare le stesse note per tutti quelli che mi circondano.

Sono sicuro di star male quando seguo queste regole, eppure non si vedono all'orizzonte, tracce migliori per tirare avanti.
Un tipo Francese, appena uscito dal carcere per omicidio d'amore, scrive e canta del rifiuto di essere vincente, o perdente... In fondo è questo che proprio non mi va giù.
L'impossibilità di tirar fuori qualcosa di nuovo, in questo mondo, è data dalla tragica responsabilità di perdere... o vincere... sempre, in ogni piccola azione quotidiana.
Di respiri semplici e puliti, me ne sono presi molti, negli ultimi anni. Eppure, non sono bastati a scacciare l'indifferenza.
Ma deve davvero suonare così estrema la necessità di prendersi una strada tutta per noi?
No, davvero, scriverlo qua significa parlarne con voi... voi senza una faccia, voi flusso, voi che avete tempo di passar tempo su queste righe, senza svanire, senza il bisogno di arrivare da nessun altra parte, a minuti, a ore.

So lei partire, per non tornare, forse. Mi manca, ma è giusto così.

Le scriverei ogni giorno un pensiero nuovo. Senza più nemmeno un'azione. Solo tinte, belle pure, o tremende, e le racconterei strutture in legno. Mi perderei in dettagli senza tempo. Scanalature portate sulla diagonale da chissà quale flusso, di chissà quale flusso.

Il nulla ti prende quando meno te l'aspetti.
Ed è così meraviglioso se sai invitarlo al banchetto giusto.
E' così potente nello spazzare via abitudini e tranelli di questa superficie Certosa.

Brutta bestia, la nostalgia per qualcosa che non hai mai davvero vissuto.
(Si rien ne bouge, le ciel devient rouge)