mercoledì 31 luglio 2013

Tughède

Nota a margine dell'assemblea soci ADAM di ieri sera, che come di consueto mi ha dato una certa quantità di spunti su cui riflettere.

- Più o meno tutti siamo, volenti o nolenti, l'intersezione di una certa quantità di identità collettive. E' così perché aderire a un'associazione, piuttosto che a un corso o una squadra di calcetto ormai vale (o ha facoltà di valere) quanto un "mipiace".
A fare la differenza, allora, è il calore delle relazioni che sviluppiamo nei vari contesti. L'organicità dei progetti a cui partecipiamo. La capacità di cambiare con essi e di aiutarli a cambiare con noi. Oppure a resistere, identici, finché un'idea, un'intenzione, non raggiunge il suo obiettivo. E non desistere nel farlo neppure quando si procede verso il deforme, il freak civile, verso una sovraesposizione di "leadership" più o meno calcolata o al contrario l'assenza (in certe fasi di passaggio) di una linea chiara di rappresentanza.

Fare questa selezione significa anche aprire una finestra sul panorama desolante delle collettività cui aderiamo solo virtualmente (o senza l'intenzione di "metterci in gioco" al loro interno), che magari hanno bisogno di noi (o dell'idea di noi) per esistere, ma desistono dal fare i conti con la di noi complessità. Con la di noi inadeguatezza. Con la di noi molteplicità.
Mi pare che la vera morte civile sopraggiunga quando un qualsiasi genere di soluzione collettiva è studiata a tavolino e riprodotta su un piano meramente istituzionale (o accetta di seguire questo percorso nonostante l'intenzione fondativa fosse diversa).
Quando in definitiva un'aggregazione di entità individuali o sociali arriva a rappresentare NEI FATTI molto meno della somma delle sue componenti. -

E alle superiori non ho mai capito a che serviva la consulta degli studenti.

mercoledì 14 novembre 2012

Recit

(da uno dei tanti discorsi sulla differenza tra attore teatrale e cinematografico)

Lasciando da parte i geni, che tali sono e tali restano, ma sono rari e non possono far sistema... il discorso è bello complesso.
Dopo decine di chiacchierate sul tema, mi sono convinto che questo confronto tra attore cinematografico e teatrale è un nonsense, per il fatto stesso che troppi cinema (e troppi teatri) sarebbero da considerare come casi particolari, e quindi fuori dalla “regola”.
Anche restando tra gli autori che la critica considera “alti”, in uno stesso festival puoi trovare, magari celebrati con pari entusiasmo, l'ultimo lavoro di De Oliveira, pensato per il teatro da un testo teatrale e teatralmente messo in scena... e l'ultimo dei Dardenne, o di Mungiu, al pensiero dei quali un attore con esclusiva esperienza di palcoscenico non può che tremare.

Almeno una decina di volte ho sentito sminuire gli attori di cinema utilizzando la motivazione: “Prova a metterlo su un palcoscenico... non regge dieci minuti”. Mi hanno convinto sul fatto che l'attore teatrale è a tutti gli effetti un atleta, per come usa la voce, per come si muove sul palco e per come riesce a sopportare tutto questo per mesi di repliche. Ma dire che molti attori cinematografici non sono in grado di fare teatro è assolutamente irrilevante. E' come chiedere a un medico ayurvedico di farti una chemio.
Allora penso ad esempio a Elio Germano, di cui molti mi hanno parlato malino come interprete teatrale, ma che per me resta uno dei più grandi attori cinematografici Italiani contemporanei. Cannes e gusti a parte, credo che lo sia per tutte quelle specifiche che sono prerogativa stessa dell'esistenza di metà del cinema mondiale (quello dalla parte del realismo, ma non solo... basti pensare a Reygadas o, per gli americani, a Jarmush): dalla micromimica, al lavoro di sottrazione, all'interiorizzazione totale del personaggio e l'abilità di farlo affiorare scientificamente, ciak dopo ciak. Fino all'arte massima, per come la vedo io, di reggere non al confronto con un grande attore, ma con un vero albero, un'autentica fabbrica abbandonata, segnata dal tempo. Riuscire a muoversi nello spazio della cronaca, quando non del banale quotidiano, portando il proprio corpo e la propria anima su quello stesso piano. Quando questo avviene, qualsiasi “giocare” su un palcoscenico o il fingersi batman subiscono un drammatico ridimensionamento. Con questo non voglio stigmatizzare l'elemento spettacolare di cui io stesso mi nutro. Ma interpretare il cinema di cui sopra è altra cosa.

martedì 9 ottobre 2012

Mezzanottetrentaquattro

Mi sembra l'orario giusto per spiegare ai macchinisti ferroviari lo stato del professionismo culturale Italiano.

Immaginate di dover forgiare le rotaie, fare i tronchi a pezzi, costruire un treno da metterci sopra, trovare controllori appassionati quanto voi e convincere la popolazione civile che il treno esiste ed è utile. Se ci riuscite potete salire a bordo. Tenendo però conto che contatteranno voi se un bagno in carrozza 6 si attappa. Auguratevi che non capiti in una curva con binario sconnesso, perché potreste essere troppo stanchi per tirare il freno al momento giusto.

Una cosa bella c'è. Se al settecentotrentottesimo giorno di trasporto il treno arriva ancora al capolinea, magari fuori orario e un po' malridotto, ma con parecchi passeggeri, nuovi e abituali; se quel giorno tu e gli altri che l'hanno mandato avanti avete ancora un po' di forza per due chiacchiere in tranquillità, durante un'insignificante pausa di quel discorso vi sentirete bene.

domenica 1 luglio 2012

Crash-test



TV tedesca su Balotelli e Cassano:



"Sono fuori da ogni controllo in area rigore, giocano come se fossero in strada"


"Cani randagi"    /    "Non autosufficienti"


Quando i germanici fanno i germanici mi diverto da matti.
In tempi di governi tecnici applicati su larga scala, dove per paura dei propri istinti pure l'Italia s'è messa a fare la tedeschia, è un piacere autentico farsi salvare da due disorientati.
E mica parlo di calcio... in tutti settori è un fiorire di schemi, manuali e generi. Che pure se (e dico pure se) sapessimo applicarli, non sarà mai così che ci ricostruiremo una dignità.
Voglio dire... i "germanici" di ogni dove servono sempre, come corollario... ma alla base c'è il guizzo, che rovescia la prospettiva e cambia il piede d'appoggio. E' una delle poche cose per cui mi diverte essere nato qui, e mi diverte ancora di più notare che sempre più Italiani la reprimono per una più corretta gestione organizzativa... de che? organizzi de que? In profondità, tutti i sistemi che crediamo di poter controllare ballano col diavolo. C'è da essere in malafede per non capirlo.

La terra trema dove e quando preferisce. Previsioni scientifiche e Maya sono approssimabili ad harmony più spinti del normale.

I mercati liberi spazzano via soprattutto chi ha tanto creduto in loro... che poi, purtroppo, spazza via pure chi non ci ha creduto, che ipotizza la rivoluzione, ma resta a casa senza spazzar via niente (ma questa è un'altra questione).

Uno se sposa, compra casa, anelli e robba (uno che conosco ha fatto pure tanti regali a la ragazza prima de sposasse), quell'altra lo lascia dopo un mese dal matrimonio. Quanti sacrifici, Vincè, quanti sacrifici.

Dio può anche esistere, ma è assolutamente indifferente al nostro edificargli chiese. Infatti le fa crollare per prime quando capita un sisma. E' capitato anche che un autobus uscito di strada s'è infilato in una chiesa. Tutti illesi. Solo l'altare distrutto. Posso citare esempi analoghi per tutti gli altri beni materiali, soprattutto quelli luccicanti.

In definitiva, questa nostra società è un continuo tentativo di far rientrare a casa Cantona prima delle 22, se il giorno dopo ha la partita.
Noi di questo, ci occupiamo, quando facciamo "i seri".
Rendetevi conto.

giovedì 22 marzo 2012

Up

Colpire la palla quando ancora non c'è.
Come scrivere il cinema.



Ciao, Tonino!

sabato 7 gennaio 2012

Per dio.

Al solito: se intendiamo "per dio" come moto per luogo, deve trattarsi comunque di bestemmia, perché presuppone qualcosa OLTRE dio ove recarsi (o da cui provenire).

Più familiare mi sembra intenderlo come stato in luogo.
La cosa è comprensibile solo a chi conosce davvero la vita di provincia. Un farsi un giro "per dio", che equivale a restare. Come a dire che puoi andare dove ti pare, cambia poco.
Ecco, quest'accezione ha a che fare con il distasera mio dispiacere per un mio amico, vittima dei fucili della RCA auto (intesa come Religione Cattolica Applicata senza alcun senso critico).
Anche perché potrei essere nella stessa situazione. Tutti, portando fuori un po' di dio, un po' di madonne, potremmo essere in quella situazione.
Poi avoglia a semafori.

Semplicemente, il peccato (che per i fascisti è la scurezza in volto ma non in camicia, per gli interisti Moggi, per Patrick Mattarelli il disordine, per Ubaldo Formica il nostro capodanno a casa sua) non è una buona discriminante tra i buoni e i cattivi. Non c'è polso. Non c'è incontro. Non c'è vita.
Altrimenti sarebbe come dire che una società può essere fondata sulla famiglia. Roba da matti. Già alla fine dell'atto sessuale resta una quantità infinitesima di sperma a fare il suo lavoro. Pensate quando arriviamo agli zii di terzo grado o ai cognati, quanto possiamo avere a che spartire.
La verità è che ci si incontra tutti i GIORNI, per vari motivi. Sarà il caso di tenere la testa alta e capire con chi veramente vogliamo passare i NOSTRI?

mercoledì 4 gennaio 2012

Me 'llillo

D'oggi in poi se mi capita la videocamera in macchina e faccio serata, tra un bicchiere e l'altro giro anche due cose.
Mi stimola entrare in collisione con quello che succede, in solitaria e senza vincoli.
Fare "cinema" non è la stessa cosa. Altre emozioni, diverse.

Ma quest'INTERCETTARE ha delle potenzialità notevoli. Ti obbliga a prendere il polso della situazione. Ti proibisce di subire. Se hai una sola camera devi capire quando le cose cambiano, prima che cambino. E quest'ultima inclinazione basta da sola come augurio per tutti, entro il primo litro di vino.

lunedì 28 novembre 2011